In data 1 aprile 2017 è entrata in vigore la Legge 8 marzo 2017 n. 24 recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.

Tale riforma ha l’obiettivo di disciplinare e mettere ordine nel settore della responsabilità civile e penale degli operatori del settore medico e sanitario, sostituendo la precedente e, per molti aspetti dibattuta, “Legge Balduzzi” (Legge 8 novembre 2012 n. 189).

La nuova disciplina innova considerevolmente la tematica della responsabilità degli operatori sanitari, introducendo importanti novità sia dal punto di vista civilistico che da quello penalistico.

 

Partendo da quest’ultimo, l’art. 6 di tale Legge, rubricato “Responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria”, introduce l’art. 590-sexies del Codice Penale il quale, per l’appunto stabilisce che “se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettare le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Tale disposizione prevede espressamente la responsabilità penale per l’esercente la professione sanitaria  che cagioni la morte o lesioni personali colpose del paziente. Di conseguenza, all’operatore sanitario che abbia causato la morte o lesioni colpose nell’esercizio della professione sanitaria, verranno applicate le pene previste, rispettivamente, dagli artt. 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) c.p.

La disposizione di cui al primo comma dell’art. 590 sexies c.p. pare priva di ogni contenuto rivoluzionario. Al riguardo, non fa altro che ribadire quanto già si faceva in passato, ovverosia prevedere l’applicabilità delle fattispecie colpose di omicidio e lesioni personali allorché la condotta incriminata sia stata posta in essere da un medico.

Tuttavia, il secondo comma dell’art. 590-sexies prevede una causa di non punibilità rappresentata dalla conformità della condotta alle raccomandazioni previste dalle linee guida ovvero, in mancanza di queste, alle buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto. In altre parole, il citato art. 590-sexies, al secondo comma esclude la punibilità del sanitario qualora concorrano i seguenti elementi: 1) l’evento si verifica a causa di imperizia; 2) l’osservanza delle raccomandazioni previste dalle linee guida ovvero delle buone pratiche clinico assistenziali; 3) la conformità delle linee guida alle specificità del caso concreto.

 

Con riferimento all’ambito civilistico, la legge di riforma ha introdotto rilevanti novità, sia in ambito sostanziale che processuale.

L’art. 7, rubricato “Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria” dispone infatti che la struttura (pubblica o privata) che nell’adempimento della propria obbligazione si avvale dell’opera di esercenti la professione sanitaria, risponderà delle condotte dolose o colpose ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c. c.; il legislatore ha optato, per tale tipo di fattispecie, per la natura contrattuale della responsabilità. Al contrario, il medico sarà chiamato a rispondere delle proprie condotte dannose a titolo di responsabilità aquiliana o extracontrattuale. Le conseguenze di ordine processuale di tale innovazione sono decisamente importanti, sopratutto in merito all’onere della prova. Il soggetto danneggiato che intende ottenere il ristoro dei danni patiti dovrà solamente dimostrare la violazione degli obblighi assunti dalla struttura sanitaria qualora agisca nei confronti di quest’ultima. Al contrario, nel caso in cui tale soggetto intenda agire nei confronti del personale sanitario, dovrà dimostrare, secondo la disciplina generale di cui all’art. 2043 c. c., gli elementi fondamentali per far sorgere la responsabilità extracontrattuale: il fatto illecito, il danno ingiusto, il nesso di causalità tra il fatto e il danno, la colpevolezza dell’agente e l’imputabilità del fatto lesivo. Appare chiaro come tale possibilità sia alquanto impervia rispetto alla prima; la ratio di tale scelta legislativa va ricercata nella volontà di evitare ricorsi pretestuosi e infondati nei confronti di medici e personale sanitario in genere e scongiurare, di conseguenza, il dilagare del fenomeno della cosiddetta medicina difensiva negativa.

Dal punto di vista processuale, la legge di riforma ha introdotto, con l’art. 8, il tentativo obbligatorio di conciliazione: chi intende esercitare un’azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell’articolo 696-bis del codice di procedura civile dinanzi al giudice competente. Il ricorso ivi previsto per lo svolgimento di una consulenza tecnica preventiva è finalizzato alla composizione della lite e rappresenta condizione di procedibilità della domanda giudiziale ed è alternativa alla mediazione.

Altra importante novità introdotta è quella relativa alla obbligatorietà della copertura assicurativa per le strutture mediche pubbliche e private e per i medici liberi professionisti per la responsabilità civile verso terzi e verso i prestatori d’opera.